Cenni storici sulla Campagna di Russia

 

Quello che segue è il racconto sintetico dei principali fatti accaduti durante la Campagna di Russia, per meglio inquadrare le vicende storiche che videro protagonisti i nostri alpini. Non ha nessuna pretesa di completezza: per approfondire l’argomento si possono leggere i libri consultati per scrivere questo pezzo, che si trovano nella bibliografia a fondo pagina e per comprendere i fatti drammatici e le sofferenze patite dagli alpini in Russia si rimanda alla lettura della ricca memorialistica sull’argomento, che in parte si trova sempre nelle note bibliografiche a fondo pagina..

 

 

Dal C.S.I.R. all’ARM.I.R.

Quando la Germania dichiarò guerra all’Unione Sovietica, Mussolini, nonostante il parere contrario di Hitler, decise che l’Italia non poteva essere estranea all’operazione “Barbarossa” ed ordinò quindi l’allestimento di un Corpo di Spedizione Italiano in Russia (C.S.I.R.) costituito dalle Divisioni di fanteria autotrasportabile Pasubio e Torino, la 3a Divisione Principe Amedeo d’Aosta detta “Celere” (formata da Bersaglieri e dalla Cavalleria) e dalla Legione Camicie Nere Tagliamento, al comando del generale Giovanni Messe, forte di 62.000 uomini e di cui inizialmente non facevano parte unità alpine.

 

Il C.S.I.R., che era posto alle dipendenze della 11a Armata Tedesca, iniziò la partenza dall’Italia il 10 luglio 1941 via ferrovia verso l’Ungheria, giunse nella Moldavia romena il 5 agosto e da lì venne fatto proseguire con i propri mezzi verso le zone di radunata. Ai primi di ottobre, avanzò combattendo sino al bacino minerario del Donez, zona dell’Ucraina tra i fiumi Dniestr e Don a sud di Kiev. A metà novembre 1941 conquistarono gli importanti centri di Stalino, Nikitovka, Gorlovka e Rikovo. Il 21 febbraio 1942 giunse in Russia il primo reparto alpino: il battaglione alpini sciatori Monte Cervino.

 

Visto il buon comportamento del C.S.I.R., su richiesta dell’alto comando tedesco, Mussolini decise il potenziamento della presenza italiana in Russia. Il 1° maggio 1942 venne costituita l’8a Armata italiana, l’ossatura dell’Armata Italiana in Russia (ARM.I.R.) ed il comando venne assunto dal Generale Gariboldi, con una forza di 230.000 uomini. Sotto la denominazione ARM.I.R. furono comprese tutte le unità italiane operanti sul fronte russo, comprese unità aeronautiche e marittime, invece l’8a Armata italiana fu una ben definita ed organica unità operativa dislocata sul fronte del Don.

 

L’organico prevedeva, oltre alle Divisioni già inquadrate nel C.S.I.R., che assunse il nome di XXXV Corpo d’Armata, le Divisioni Sforzesca, Ravenna, Cosseria e il Raggruppamento CC.NN. "23 Marzo" con i Gruppi Leonessa e Valle Scrivia, inquadrati nel II Corpo d’Armata e le Divisioni Julia, Cuneense e Tridentina, costituenti il Corpo d’Armata Alpino, inizialmente destinato ad operare sulle montagne del Caucaso. A queste forze si sarebbe poi aggiunta la Divisione Vicenza, formata da due soli reggimenti di fanteria, con compiti di presidio nei territori occupati.

 

Il Corpo d’Armata Alpino

La partenza del Corpo d’Armata Alpino per il fronte russo incominciò alla metà di luglio del 1942. Il 17 luglio lasciavano Trento il generale Gabriele Nasci, comandante del Corpo d’Armata Alpino e lo stato maggiore della grande unità, per un totale di 57.000 uomini, 15.000 quadrupedi (per lo più muli) e un migliaio di automezzi.

A fine luglio giunsero a Nowo Gorlowka e il 15 agosto cominciò il trasferimento verso il loro obiettivo, la zona montagnosa il Caucaso, alle dipendenze della 17a Armata tedesca.

Mentre la grande unità alpina effettuava il trasferimento verso il Caucaso, a sorpresa il 19 agosto giunse l’ordine di invertire la marcia e di passare alle dipendenze dell’8a Armata italiana e di raggiungere il fronte del Don, ove il nemico nel settore del XXXV C. d’A. (ex C.S.I.R.), nel tratto presidiato dalla Sforzesca aveva rotto la linea di difesa penetrando in profondità nella direzione di Kotovskij-Bolshoj.

A tamponare la falla fu mandata la Tridentina con il 5° e 6° alpini e il 1° settembre i Battaglioni Vestone e Val Chiese ricevettero il battesimo del fuoco. Tamponata la falla si compiono opere di rafforzamento della linea.

Sempre a settembre la Cuneense e la Julia furono dislocate lungo il Don a nord di Kalitwa, prendendo il posto di alcuni reparti tedeschi.

Il 9 ottobre la Tridentina lasciò il suo settore alla 9a Divisione Romena per spostarsi di 400 km, dall’estrema ala destra all’estrema ala sinistra fino a Porgonoje, che raggiunse il giorno 30 ottobre.

 

Il fronte del Don 

Nell’inverno del 1942, l’8a Armata italiana era schierata lungo il corso del fiume Don da Babka, limite nord del settore, a Vescenskaja a sud, dove si trovava la 3a Armata Romena. A nord, l’Armata Italiana era collegata con la 2a Armata ungherese. Il suo fronte si snodava lungo il fiume Don per 270 chilometri.

 

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Sentinella

Sentinella del Vestone sul Don

Gli alpini, con il tradizionale ingegno, nei mesi autunnali avevano lavorato duramente per rafforzare le loro posizioni sulla riva destra del Don, in modo da renderle adatte ad affrontare il durissimo inverno ed il potente nemico.                    

 

Fino a metà dicembre, sui 70 chilometri di fronte tenuto dagli alpini (la zona più a nord dell’8a Armata italiana), non si ebbero combattimenti di rilievo. Il 15 dicembre, con un potenziale d’urto sei volte superiore a quello delle nostre Divisioni (basti pensare che impiegarono 750 carri armati e noi non avevamo né carri, né efficienti armi controcarro), i Russi dilagarono nelle retrovie accerchiando le Divisioni Pasubio, Torino, Celere e Sforzesca schierate più ad Est. Esse dovettero sganciarsi dalle posizioni sul Don, iniziando quella terribile ritirata che, su un terreno ormai completamente in mano al nemico, le avrebbe in gran parte annientate con una perdita di circa 55.000 uomini tra Caduti e prigionieri. 

 

L’accerchiamento

Mentre le Divisioni della Fanteria si stavano ritirando, il Corpo d’Armata Alpino ricevette l’ordine di rimanere sulle posizioni a difesa del Don per non essere a sua volta circondato. A difesa del suo fianco destro, in corrispondenza del settore della Cosseria ormai completamente scoperto, venne spostata la Divisione Julia, il cui posto tra la Tridentina e la Cuneense venne preso dalla Divisione di fanteria Vicenza.

 

Da metà dicembre le Penne Nere della Julia per un mese (fino al 7 gennaio 1943) combatterono disperatamente in campo aperto e senza ripari adeguati, superando di gran lunga ogni credibile limite di resistenza umana, sacrificando i loro reparti per fermare e contenere la spinta poderosa e violentissima dei Russi sostenuti dall’alleato inverno.       

Il bollettino di guerra del comando tedesco del 29 dicembre 1942 diede ampio ed espresso elogio alla Julia riconoscendo il valore degli alpini: “Sul fronte del medio Don si è particolarmente distinta la Divisione Alpina Julia”.          

                                                                                                                                 

Il 13 gennaio i Russi partirono per la terza fase della loro grande offensiva invernale e, senza spezzare il fronte tenuto dagli alpini, ma infrangendo contemporaneamente quello degli Ungheresi a Nord e quello dei Tedeschi a Sud, con una manovra a tenaglia, riuscirono a racchiudere il Corpo d’Armata Alpino in una vasta e profonda sacca.

 

Il ripiegamento

 

Sebekino

Alpini in ripiegamento a Sebekino

Davanti alla possibile catastrofe rimaneva un’unica alternativa: il ripiegamento immediato. La sera del 17 gennaio 1943, su ordine del generale Gabriele Nasci, ebbe inizio il ripiegamento dell’intero Corpo d’Armata Alpino di cui la sola Divisione Tridentina era ancora efficiente, quasi intatta in uomini, armi e materiali. Ad essa fu affidato il duro compito di rompere l’accerchiamento e ritrovare la via per l’Italia, mentre la Cuneense, la Julia e la Vicenza furono praticamente distrutte e dopo 100 chilometri di ritirata i comandanti e gli altri alpini superstiti furono catturati nei pressi di Waluiki il 27 gennaio.

 

Ad assumere il comando dell’avanguardia della colonna in ritirata fu chiamato il comandante della Tridentina, Generale Reverberi. L’avanguardia era costituita dal 6° Rgt. Alpini, con il Battaglione Val Chiese come reparto di testa, il Vestone e il Gruppo Bergamo e quattro semoventi tedeschi.

 

Colonna

Alpini in ripiegamento

La marcia del Corpo d’Armata Alpino verso la salvezza fu un evento drammatico, doloroso ed allucinante, costellato da innumerevoli episodi di valore, di grande solidarietà, in cui circa 40.000 uomini si batterono disperatamente, senza sosta, per 15 interminabili giorni e per 200 chilometri.

Frattanto la colonna si ingrossava via via, allungandosi fino a 40 chilometri, inglobando reparti sbandati di ogni specie: Ungheresi, Tedeschi, fanti della Divisione Vicenza, tutti reduci dai tratti di fronte.

Postojalyi, Opyt, Skororyb, Nowo Carkowka, Lymarewka, Sceliyakino, Nikitowka, Malakjewa, Warwarowka, Arnautowo non costituiscono soltanto le tappe di un duro calvario, ma contrassegnano altrettanti durissimi combattimenti, ognuno dei quali ebbe un valore decisivo, poiché ogni volta infranse successivi sbarramenti organizzati dal nemico per fermare la ritirata delle nostre unità.

 

La battaglia di Nikolajewka

 

nikolajewka
Da sinistra: il tenente colonnello Policarpo Chierici comandante del Val Chiese, il tenente Danilo Bajetti (futuro Presidente della Sezione di Brescia), il colonnello Paolo Signorini comandante del 6° Rgt. Alp. e il generale Luigi Reverberi a rapporto a Nikolajewka il 26 gennaio 1943

Fu così che dopo 200 chilometri di ripiegamento a piedi e con pochi muli e slitte, sempre aspramente contrastati dai reparti nemici e dai partigiani sovietici, il mattino del 26 gennaio 1943 gli alpini della Tridentina, alla testa di una colonna di 40.000 uomini quasi tutti disarmati e in parte congelati, giunsero davanti a Nikolajewka. Forti del tradizionale spirito di corpo gli alpini del generale Reverberi, dopo una giornata di lotta, espugnarono a colpi di fucile e bombe a mano il paese annientando gli agguerriti difensori annidati nelle case.


Per dare il colpo mortale al nemico in ritirata, i Russi si erano trincerati fra le case del paese che sorge su una modesta collinetta, protetti da un terrapieno della ferrovia che correva pressoché attorno all’abitato e che costituiva un’ottima protezione per il nemico. Le forze sovietiche che sbarravano il passo agli alpini ammontavano a circa una divisione.

Verso le ore 9.30 venne ordinato di attaccare.

In un primo tempo si lanciarono all’assalto gli alpini superstiti del Verona, del Val Chiese, del Vestone e del II Battaglione misto genio della Tridentina, appoggiati dal fuoco del gruppo artiglieria Bergamo e da tre semoventi tedeschi.

 


colonna

La ferrovia, dopo sanguinosi scontri, fu raggiunta; in più punti gli alpini riuscirono a salire la contro scarpata ed a raggiungere le prime isbe dell’abitato dove sistemarono immediatamente le mitragliatrici, ma le perdite furono gravissime per il violento fuoco dei Russi.

Nonostante le sanguinose perdite, gli alpini continuarono a combattere con accanimento: fu un susseguirsi di assalti e contrassalti portati di casa in casa; venne conquistata la stazione ferroviaria e un plotone del Val Chiese riuscì ad arrivare alla chiesa.

La reazione russa fu violentissima: gli alpini furono costretti ad arretrare e ad abbarbicarsi al terreno in attesa di rinforzi.

Verso mezzogiorno giunsero in rinforzo i resti del battaglione Edolo, del Morbegno e del Tirano, i gruppi di artiglieria Vicenza e Val Camonica ed altre modeste aliquote di reparti della Julia col Battaglione L’Aquila: anch’essi vennero inviati nel cuore della battaglia.


colonna
La colonna in ritirata

Il nemico, appoggiato anche dagli aerei che mitragliavano a bassa quota, opponeva una strenua resistenza. Sul campanile della chiesa c’era una mitragliatrice che faceva strage di alpini. La neve era tinta di rosso: su di essa giacevano senza vita migliaia di alpini e moltissimi feriti.

Nonostante gli innumerevoli atti di valore personale di ufficiali, sottufficiali e soldati, spinti sino al cosciente sacrificio della propria vita, la resistenza era ancora attivissima e l’esito della battaglia era non del tutto scontato.La situazione si faceva sempre più tragica perché il sole incominciava a scendere sull’orizzonte ed era evidente che una permanenza all’addiaccio nelle ore notturne, con temperature di 30-35 gradi sotto lo zero, avrebbe significato per tutti l’assideramento e la morte.

 

Quando ormai stavano calando le prime ombre della sera e sembrava che non ci fosse più niente da fare per rompere l’accerchiamento, il generale Reverberi, comandante della Tridentina, saliva su un semovente tedesco e, incurante della violenta reazione nemica, al grido di “Tridentina avanti!” trascinava i suoi alpini all’assalto.

 

 

cammello
Il cammello del Val Chiese
con l’alpino Giovan Battista Bignotti di Sopraponte

Il grido rimbalzò di schiera in schiera, passò sulle labbra da un alpino all’altro, scosse la massa enorme degli sbandati che, come una valanga, assieme ai combattenti ancora validi, si

 lanciarono urlando verso il sottopassaggio e la scarpata della ferrovia, la superarono travolgendo la linea di resistenza sovietica.

I Russi sorpresi dalla rapidità dell’azione dovettero ripiegare abbandonando sul terreno i loro caduti, le armi ed i materiali.

Il prezzo pagato dagli alpini fu enorme: dopo la battaglia rimasero sul terreno migliaia di caduti. Tutti gli alpini, senza distinzione di grado e di origine, diedero un esempio di coraggio, di spirito di sacrificio e di alto senso del dovere.

 

In salvo

Dopo Nikolajewka la marcia degli alpini proseguì fino a Bolscke Troskoye e a Awilowka, dove giunsero al 30 gennaio e furono finalmente in salvo, poterono alloggiare e ricevere i primi aiuti. Il 31 con il passaggio delle consegne ai Tedeschi termina ogni attività operativa sul fronte russo.

 

Fino al 2 febbraio continuarono ad arrivare i resti dei reparti in ritirata. I feriti gravi vennero avviati ai vari ospedali, poi a Schebekino alcuni furono caricati su un treno ospedale per il rimpatrio.

La colonna della Tridentina riprese la marcia il 2 febbraio per giungere a Gomel il 1° marzo. Gli alpini percorsero a piedi 700 km e solamente alcuni nell’ultimo tratto poterono usufruire del trasporto in ferrovia.

 

 

Il rimpatrio

Il 6 marzo 1943 cominciarono a partire da Gomel le tradotte che riportavano in Italia i superstiti del Corpo d’Armata Alpino; il giorno 15 partì l’ultimo convoglio e il 24 tutti furono in Patria.

Mentre per il trasporto in Russia del Corpo d’Armata alpino erano stati necessari 200 treni, per il ritorno ne bastarono 17. Sono cifre eloquenti, ma ancor più lo sono quelle dei superstiti: considerando che ciascuna divisione era costituita da circa 16.000 uomini, i superstiti risultarono 6.400 della Tridentina, 3.300 della Julia e 1.300 della Cuneense.

Hanno detto...

Il Gen. Luigi Reverberi, nel discorso pronunciato all’Adunata della Tridentina, svolta a Gavardo il 26-27 ottobre 1946, pubblicato sul giornale “Monte Suello” n. 5 dell’agosto 1996:

 

[...] Dal 17 gen­naio 1943, ebbe inizio, o Alpini, l’Impresa che vi ha imposto alla ammirazione del Mondo, perché compiuta in circostanze così spaventosamente avverse che nessuna mente, per quanto otti­mista, avrebbe potuto presagirne la felice soluzione. [...]

Si videro in questa tragica odissea, che durò per oltre 15 giorni, i più generosi esempi di cameratismo: alpini che si carica­vano del carico dei compagni più stanchi; alpini che portavano barelle con feriti ed ammalati; alpini che sostituivano i quadrupedi nel traino delle slitte. [...]

11 accerchiamenti spez­zati, 14 battaglie combattute e vinte in una steppa desolata che non offriva alcun conforto, con una temperatura assiderante che alle volte ha raggiunto i 40 gradi sotto zero, sono le poste che il destino aveva messo al nostro riscatto. [...]

Ma la sorte avversa vuole ancora chiudere questi soldati in un cerchio di ferro e fuoco per farla finita, per stendere un nero sudario sulla grande vicenda. Eccoci alla memorabile giornata di Nikolajewka: martirio e gloria della “Tridentina”. É questa la giornata degli eroismi più fulgidi: è questa la giornata che pur pagandolo a carissimo prezzo i reparti della “Tridentina” acqui­stano il maggior titolo di gloria. [...]

E qui consentite a questo vecchio soldato, giunto ormai al fine della sua vita militare, di dirvi come mai egli abbia tanto amato come in quel giorno; come mai egli abbia tanto ringraziato il destino, come in quel giorno, nel quale ha potuto darvi prova della sua grande passione alpina.[...]

Allora il vostro generale, divenuto solo e semplicemente il Padre dei Suoi Alpini, vi ha guardato negli occhi; ha visto il vostro scoramento davanti all’impossibile ed ha offerto a Dio la sua vita, perché voi foste salvi; e nel preciso intendimento di compiere il suo ultimo dovere verso di voi, che già tante prove di affetto gli avevate dato, partì solo, avanti a tutti, fidente che Iddio avrebbe accolto il suo sacrificio per la vostra salvezza: e la lotta fu ripresa con rinnovata energia e la vittoria fu nostra e davanti a noi fu aperta finalmente la via del ritorno.

Non ho mai parlato con alcuno di questo episodio che pure è noto; perché certi ricordi si conservano gelosamente cu­stoditi nel cuore; ma oggi qui, a solo a solo con voi, che potete comprendermi, alla vigilia di lasciare volontariamente l’Esercito dopo tanti anni di servizio, ho voluto dirvi quale è il più grande orgoglio, che porto con me e che servirà a rendere meno doloroso il distacco da quella divisa che ho vestito per 35 anni e, ritengo, senza mai venir meno alle leggi dell’onore militare e civile”.

 

 

Giulio Bedeschi nel libro “Il natale degli Alpini”:

 

“La battaglia di Nikolajewka fu una limpida vittoria dello spirito, sorta fra gli orrori della più spietata lotta fra gli uomini. Molti alpini caddero sull’altare del sacrificio per dare la possibilità ad altri di vivere e di trovare aperta la via verso la Patria e la casa”.

 

 

Don Carlo Gnocchi (1902-1956) è stato il Cappellano della Tridentina in Russia. Alla fine della guerra fondò l’opera “Pro infanzia mutilata”, che nel 1952 prese il nome di “Pro Juventute”. L’ultimo suo gesto profetico fu la donazione delle cornee a due ragazzi non vedenti, quando in Italia il trapianto di organi non era ancora disciplinato da apposite leggi; questo gesto diede un’accelerazione al dibattito sui trapianti e dopo poche settimana fu varata una legge ad hoc. È stato dichiarato Venerabile da Papa Giovanni Paolo II nel 2002 ed è in corso la Causa di beatificazione.

 

Così si espresse nel suo libro “Cristo con gli alpini”:

 

“Nella storia di questa valanga di uomini che cozza undici volte contro la ferrea parete della sua prigionia e la sfonda, è difficile raccogliere episodi individuali. Tutti hanno dato fino all’estenuazione, fino all’eroismo. L’Artiglieria che più volte ha difeso i pezzi a corpo a corpo, gli alpini che hanno scalato i carri armati, forzandone col moschetto la torretta per gettarvi dentro le ultime bombe a mano, i congelati, i feriti che si sono strascinati per giorni lungo le piste, qualche volta a carponi, per non cadere nelle mani del nemico, i genieri che sono andati all’attacco snidando il nemico casa per casa, gli addetti ai servizi e gli scritturali che hanno gareggiato in dedizione coi combattenti, tutti, dall’ultimo alpino fino al Generale Comandante, che dopo aver sempre marciato con l’avanguardia, in una giornata decisiva, si è messo in testa alla Divisione portandola alla vittoria ed alla libertà, mentre interno a lui cadevano quaranta ufficiali ed un Generale, tutti hanno compiuto opera veramente sovrumana.

Dio fu con loro, ma gli uomini furono degni di Dio. Sì perché avevano quella fede che li ha fatti diventare eroi; l’amore per la Patria e per la famiglia, fede che diventa sempre più grande quanto più il gelo di una natura ostile, l’aggressione ossessionante di una terra nemica senza orizzonti e senza mète si accanivano contro di loro e quando le forze stavano per crollare, la visione dell’Italia, della famiglia lontana, era per loro una luce che li rendeva disperatamente decisi a raggiungerla.

Solo uomini che possiedono così forte questa fede possono aver fatto quello che hanno fatto per cercare di uscire dal cancello dell’eternità”.

  

 

Il tenente Luciano Zani, Medaglia d’oro al Valore Militare, comandante della 255a compagnia del Battaglione Val Chiese, dopo la durissima battaglia così si espresse:

 

“Si è combattuto a denti stretti, con assalti e contrassalti, con case e isbe conquistate, perdute, riconquistate, in furiosi corpo a corpo mentre mortai, pezzi anticarro, mitragliatrici e parabellum nemici battevano il terreno metro per metro. …

La giornata di Nikolajewka, così ricca di gloria e di fulgidi eroismi, ha insegnato che la potenza delle armi può essere superata e vinta dalla potenza dello spirito quando esistono uomini che sappiano gettare la loro anima al di là dell’ostacolo come gli antichi Cavalieri, come i Dragoni del “Savoia” e gli Alpini nella steppa russa”.

Scudetto Divisione Tridentina

Composizione della Divisione Alpina Tridentina

in RussiaComandante: Generale Luigi Reverberi;

Capo di Stato Maggiore: Maggiore Alessandro Ambrosiani;

402a e 417a Sez. Carabinieri

201° Ufficio posta militare

 

5° Reggimento alpini (colonnello Giuseppe Adami) con i battaglioni:

Morbegno (ten. col. Nestore Zucchi); Cp.: comando, 44a, 45a, 46a, 107a armi d’acc.

Tirano (maggiore Gaetano Volpatti); Cp.: comando, 46a, 48a, 49a, 109a armi d’acc.

Edolo (maggiore Dante Belotti); Cp.: comando, 50a, 51a, 52a, 110a armi d’acc.

5a Sez. Sanità

618° Ospedale da campo

25a Sez. Salmerie

 

6° Reggimento alpini (colonnello Paolo Signorini) con i battaglioni:

Vestone (maggiore Enrico Bracchi); Cp.: comando, 53a, 54a, 55a, 111a armi d’acc.

Verona (maggiore Felice Prat); Cp.: comando, 56a, 57a, 58a, 113a armi d’acc.

Val Chiese (ten. col. Policarpo Chierici); Cp.: comando, 253a, 254a, 255a, 112a armi d’acc.

6a Sez. Sanità

621° Ospedale da campo

26a Sez. Salmerie

82 e 216 Cp. Cannoni 47/32 (compagnia anticarro)

 

2° Reggimento artiglieria alpina (colonnello Federico Moro) con i gruppi:

Bergamo (maggiore Carlo Meozzi); Rep. comando, Bat. 31a, 32a, 33a, Rep. munizioni e viveri.

Vicenza (ten. col. Carlo Calbo); Rep. comando, Bat. 19a, 20a, 45a, Rep. munizioni e viveri.

Val Camonica (maggiore Ugo Andri); Rep. comando, Bat. 28a, 29a, Rep. munizioni e viveri.

56a e 59a Btr. a.a. 20 mm

76a Btr. c.c. 75/39

 

II Battaglione misto genio (maggiore Alberto Cassoli)

102a Sez. Fotoelettricisti

112a Cp. Radiotelegrafisti

122a Cp. Artieri

302a Sez. Sanità

619°, 620°, 622°, 623° Ospedale da campo

110a Sez. Sussistenza

206° Autoreparto misto

Bibliografia

Aldo RASERO, Tridentina Avanti!, Mursia, 1982

A.N.A. (a cura di Emilio FALDELLA), Storia delle Truppe alpine 1872-1972, Cavallotti Bandoni, 1972

Francesco MAGONI, La Tridentina in Russia, Gruppo Alpini di Borgosatollo, 1999

Alessandro AMBROSIANI, In reverente ricordo del Generale Medaglia d’Oro Luigi Reverberi, 1973

Carlo GNOCCHI, Cristo con gli Alpini, La Scuola, 1956

Giobatta DANDA, Vistù Ricordi del “Vestone” nella Campagna di Russia 1942-1943, 1992

Felice MAZZI, Avanti il Vestone… Avanti il Val Chiese…, Comune di Vestone, 1987

AA.VV., Alpini storia e leggenda, Compagnia Generale Editoriale, 1981

L’Alpino (Giugno 1991 – Anno LXX N. 6)

Il calvario degli alpini in terra di Russia, intervento del Generale di Brigata Tullio Vidulich a Carzano (TN), 24 gennaio 2004

 

Siti internet

 

www.fronterussounirr.it - U.N.I.R.R. (Unione Nazionale Italiana Reduci di Russia)

www.brigatacadore.it

digilander.libero.it/avantisavoiait

 

Memorialistica

Mario RIGONI STERN, Il sergente nella neve, Einaudi, 1962

Egisto CORRADI, La ritirata di Russia, Mondadori, 1986

Giulio BEDESCHI, Centomila gavette di ghiaccio, Mursia, 1963

Giulio BEDESCHI (a cura di), Nikolajewka: c’ero anch’io, Mursia, 1972

Nelson CENCI, Ritorno, Rizzoli, 1981

Arnaldo CHIERICI, (a cura di), Policarpo Chierici comandante alpino, Nordpress, 2002

Alfio CARUSO, Tutti i vivi all’assalto, Longanesi, 2003

Giovanni LUGARESI, Tornare a Nikolajewka, Monte Università Parma, 2005

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